Conoscete Daniele Pepe alias @cyborgtrail?

Noi abbiamo avuto la fortuna di intervistarlo.

Copertina dell'intervista a Daniele Pepe alias @cyborgtrail

 

Te la senti di raccontare a tutte le persone che ci seguono come è avvenuta la tua diagnosi e in che modo tu e la tua famiglia avete reagito?   La mia condizione fu diagnosticata già dalle prime ecografie e non credo che esista un modo corretto per un futuro genitore di reagire ad una notizia di questo genere. Sono cresciuto con una frase che un ecografo disse ai miei genitori e che fecero loro già prima che nascessi: “Non compatitelo mai o rischierete di farlo sentire realmente diverso”. Questo concetto, nella mia educazione, è stato a tratti un “mantra” e se da una parte da ragazzo avrei voluto a volte farmi scudo della mia disabilità per giustificare qualche fiasco, dall’altro oggi non posso che dire grazie ai miei genitori per avermi lasciato provare, sbagliare, anche fallire se necessario, ma essere stati sempre lì accanto, pronti ad aiutarmi a rialzare e non certo per darmi una scusa.
 
Come ti sei avvicinato alla mountain bike e perché hai scelto proprio questo tipo di sport? Penso che la mia passione per la mountain bike risieda nella natura selvaggia di questo sport, nelle salite sfidanti tra il fango e le radici di un bosco e nell’adrenalina restituita lungo le discese. Scoprire e praticare questo sport è stato, per certi versi, facile. E’ bastato rimanere bambino, conservare quella sana dose di irresponsabilità per poter dire, come già fatto in tante altre occasioni negli anni: “Perché no? Lo posso fare.” Sono sempre andato in bicicletta e per spirito di adattamento l’ho sempre fatto con una sola mano, ma quando ho deciso di lanciarmi, nel vero senso della parola, in percorsi non battute e più ostici ho sentito la necessità di avere “due mani” sul manubrio. La Mountain Bike, come concetto, è da sempre la sintesi perfetta della mia vita, dove ogni metro conquistato è frutto di impegno e costanza. Quando le salite sembrano non finire e il corpo grida di mollare, la mia caparbietà, una volta in cima seppur stremato, mi ripaga di ogni sforzo e mi ricarica per la sfida successiva. Un sali e scendi continuo fatto di obiettivi e confronti con se stessi.
 
Oltre alla mountain bike hai sempre avuto un bel rapporto con lo sport? Assolutamente sì. In particolare per tutti quegli sport che a detta di qualcuno non avrei potuto praticare. Oltre la mountain bike e attività più canoniche come il calcio, la pallavolo ecc... ho praticato ad esempio il karate, la kick boxing, grazie l’idea originale di una modifica sartoriale del guantone destro che mi permettesse di colpire allo stesso modo del sinistro. Il tutto accompagnato dalla passione per la subacquea nella quale negli anni ho ottenuto diverse certificazioni e mediante un laboratorio tecnico, feci realizzare un’inedita muta stagna su misura che mi garantisse, ad elevate profondità, sensibilità e protezione a destra alla stregua di un guanto.

Sei un modello per tantissime persone, ma c’è qualcosa che vorresti consigliare a tutte le persone che nascono senza un arto o che subiscono un’amputazione durante la loro vita?  Consiglierei di non farsi mai dire dagli altri cosa puoi o non puoi fare, di rispondere alle difficoltà giornaliere con immaginazione e approcci originali. Perché alla vita che ti ha reso diverso o quanto meno non conforme a dei canoni, hai il dovere di rispondere con azioni audaci.  Spesso sento dire “non sei la tua disabilità” come fosse una forma di incoraggiamento, ma la realtà, nella sua interpretazione più positiva, è esattamente il contrario: se oggi sei quella ragazza o quel ragazzo è proprio grazie alla tua disabilità. La sensibilità, l’empatia, l’estro, così come la forza di volontà fuori dal comune derivano dalle sfide che affronti quotidianamente. Quindi non ti nascondere per un dettaglio fisico, non importa quanto questo sia evidente, piuttosto sii d’ispirazione per i più piccoli e metti a disposizione la tua esperienza e gli stratagemmi che hai ideato per raggiungere i tuoi risultati.  L’universo è compensazione e quello che hai perso o non hai mai avuto, stai pur certo che lo hai guadagnato in altro. Ora scopri cos’è e restituiscilo al mondo.

Hai mai avuto problemi a interagire con gli altri bambini a scuola o, più in generale, le persone ti fanno mai sentire diverso? Meccaniche come quella del bullismo, soprattutto tra i più giovani, trovano a volte terreno fertile quando vi è un soggetto con disabilità. La parte più complicata di crescere con un’invalidità forse è il dover gestire quotidianamente, in particolar modo per un bambino, gli sguardi a volte troppo invadenti delle persone. Il dover capire, poi, nella complicata adolescenza, se quelle espressioni che abbiamo notato sul volto di quel ragazzo o quella ragazza, sono frutto di un sincero interesse per noi o è tutto riconducibile, ancora una volta, alla curiosità per ciò che è diverso. In conclusione direi che non è stato per nulla facile, ma nonostante possa sembrare paradossale, se guardo indietro, penso che essere cresciuto con una disabilità mi abbia in realtà favorito tanto nelle amicizie quanto nelle relazioni sentimentali. Questa condizione, con il tempo, mi ha permesso di circondarmi esclusivamente di persone con un’innata sensibilità e una spiccata concretezza, le quali, senza ombre di dubbio, hanno contribuito a rendermi l’uomo che sono oggi. 
 
Come è stata sviluppata l’idea di una protesi per la Mountain Bike stampata in 3D? Come già accennato in precedenza, la necessità di avere una maggiore stabilità durante la guida, oltre all’importanza di tenere una postura corretta durante le uscite in mountain bike, mi ha portato alla ricerca di una protesi adatta allo scopo che fosse già presente sul mercato, immaginate la mia incredulità nello scoprire che a livello commerciale non esiste nulla che risponda a queste esigenze. Da qui nasce l’idea di crearne una da zero e di stamparla in 3D. Il successo di questo progetto è in gran parte quello di aver incontrato due ragazzi incredibili, Fortunato Montone e Gabriele Rollo, due specialisti di stampa tridimensionale che hanno letteralmente creato per me quello che da tempo avevo solo immaginato. In una prima fase hanno realizzato un modello digitale del mio braccio attraverso fotogrammetria e scansione 3D, poi si è passati ad ideare un sistema tanto ingegnoso quanto semplice che da un lato permettesse alla protesi di “afferrare” il manubrio con sicurezza e dall’altro consentisse, in caso di caduta, di far scivolare via il braccio azzerando così la possibilità di danno all’articolazione coinvolta. La sfida è stata quella di creare un arto artificiale che, per la natura dello sport in questione, fosse resistente ma elastico, robusto ma leggero il tutto mantenendo un costo finale contenuto. L’abbiamo pensata affinché chi la indossi non si accontenti solo di andare in bicicletta, ma possa sfruttare finalmente tutte le proprie capacità; che sia un percorso tecnico, così come un salto, la protesi che indosso da anni reagisce come un’estensione di me stesso e sebbene abbia fatto più e più cadute (croce e delizia di qualsiasi Mountain Biker), sembra essere nuova come il primo giorno.