Articolo e immagini tratte da La Repubblica di Torino di martedì 8 gennaio 2013

Il team di Ot bioelettronica presenta la mano bionica

Da un lato c’è una protesi evoluta, quasi una mano bionica: la si potrà indossare con grande facilità e sarà in grado di afferrare oggetti, di ruotarli e, in generale, di riprodurre quasi tutti i movimenti di un arto sano. Dall’altro lato c’è un guanto speciale: è una sorta di “esoscheletro” e chi lo indosserà sarà  in grado di applicare una forza maggiore rispetto alle proprie possibilità. Sono due progetti di ricerca che si basano sulla bioingegneria, ossia sulla scienza che sfrutta l’ingegneria elettronica, informatica e meccanica per risolvere problemi che riguardano le cosiddette scienze della vita. E ad animare entrambi è una piccola azienda di Torino, la Ot Bioelettronica.
È un’impresa nata nel 2007 da una costola della Ottina Franco di Rivarolo Canavese e grazie agli sforzi di due ex ricercatori del Politecnico di Torino, Andrea Bottin ed Enrico Merlo. Oggi sono appena in sei a lavorarci, ma il giro d’affari è di tutto rispetto: «Siamo partiti con 70 mila euro di fatturato il primo anno — spiega Bottin — e siamo riusciti a chiudere il 2012 con 560 mila euro di ricavi. Siamo specializzati nel  progettare e sviluppare apparecchiature biomedicali, in particolare quelle che si occupano di acquisire i segnali bioelettrici trasmessi dai muscoli. Abbiamo 89 clienti in tutto il mondo tra  centri di ricerca e di diagnosi». Ecco perché la tedesca Otto Bock ha scelto la Ot Bioelettronica come partner per sviluppare il progetto europeo Amyo, cui lavorano anche altri tre laboratori danesi e tedeschi. Si tratta, appunto, di una protesi di una mano molto innovativa: «Ha molti gradi di libertà — racconta Enrico Merlo —, ma come tutti i dispositivi di questo tipo ha bisogno di un sistema per pilotarla che sia il più semplice possibile e che dia sicurezza all’amputato».
Ed è qui che entra in gioco il know-how torinese: «Grazie a  una serie di elettrodi posizionati sul braccio e ad alcuni algoritmi  che abbiamo elaborato — prosegue il ricercatore torinese — oggi siamo in grado di garantire alla protesi sia la flessione che la rotazione del polso. Nella prossima metà del progetto ci occuperemo invece della chiusura della mano e di quella del pollice». A quel punto la Otto Bock avrà una protesi in grado di migliorare la vita di tanti menomati. Un modo per migliorare le vite delle persone che è al centro anche dell’altro progetto di ricerca che Ot Bioelettronica ha avviato. Si chiama Hexec, sta muovendo i primi passi ed quasi tutto piemontese: lo gestisce il Mesap, il Polo d’innovazione piemontese sulla meccatronica, e vi collaborano il Politecnico, la Novasis Ingegneria, la Maip, il Center for space human robotics dell’Istituto italiano di tecnologia, il Centro ricerche scienze motorie dell’Università di Torino e la Bft.
In ballo ci sono 1,2 milioni per sviluppare un guanto di materiali polimerici in grado di aumentare  la forza esercitata dalla  mano. Il principio è lo stesso: captare i segnali emessi dai muscoli  e trasmetterli a questa sorta di esoscheletro. Il guanto potrà tornare utile agli astronauti, per muoversi con più facilità nella rigidissima tuta spaziale, ma anche  agli anziani che soffrono di artrite o di altre disfunzioni.

Articolo di Stefano PAROLA